Corriere della Sera
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(🖋 Luciano Fontana, Lettere al direttore) Caro direttore, in questa settimana è iniziata la formazione della squadra del nuovo governo, con bracci di ferro e manovre di palazzo ambigue. Da cittadino semplice mi sono sempre chiesto il perché di una tra le mille contraddizioni politiche italiane, e cioè: perché nei vari ministeri quasi mai vengono scelti candidati lineari con essi, cioè persone che abbiano studiato, lavorato e dedicato tempo a determinati settori? È vero che la politica è fatta di compromessi e accordi, ma il miglior compromesso non dovrebbe essere trovare chi faccia guadagnare in efficienza un ministero per rimanere al potere il più a lungo possibile? Luciano Digno Caro signor Digno, Penso che un buon governo dovrebbe mettere insieme personalità competenti e politici scelti dai cittadini che abbiano capacità di leadership e un progetto chiaro da realizzare. Da questo punto di vista le contese di questi giorni lasciano davvero di sasso. La probabile futura premier, forte di un risultato elettorale inequivocabile, ha dichiarato che è all’opera per un esecutivo di alto livello. Le caselle vuote saranno riempite — è la promessa — con gli esponenti (politici o tecnici) considerati più adeguati indipendentemente dai desideri dei partiti che formano la coalizione di centrodestra. Questa dichiarazione di principio ha prodotto un braccio di ferro continuo: prima con Salvini sul ministero dell’Interno poi con il duo Berlusconi-Ronzulli sulle richieste di Forza Italia. Devo dirle che è stato sconfortante assistere a quanto è successo in Senato con un importante partito della coalizione che rinunciava a votare il presidente come ritorsione al mancato accoglimento delle proprie pretese. Spiace ancora di più che questo comportamento sia arrivato da una Forza Italia che doveva rappresentare la componente moderata ed europeista dell’alleanza. Leggi la risposta completa sul Corriere 👉
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(✏️ Gianni Santucci) A ridosso di piazzale Loreto (uno dei quadranti più trafficati e inquinati della città) c’è una dozzina di scuole. Le migliaia di bambini e ragazzi che le frequentano respirano un livello di biossido di azoto intorno ai 55 microgrammi per metro cubo come media annuale. La legge europea impone di non superare il limite di 40. Le linee guida aggiornate invece dall’Organizzazione mondiale della sanità nel 2021 dicono che per proteggere la salute la soglia dovrebbe essere molto più bassa, 10 microgrammi. Sono questi i limiti che bisogna tenere a mente quando si prova a navigare sulla mappa di Milano appena elaborata dall’associazione Cittadini per l’aria: alla cartina della città è sovrapposta la «nuvola» dell’inquinamento da No2 quasi strada per strada (con una definizione per quadrati da 50 metri per lato) e si vede infine la collocazione delle oltre mille scuole, dagli asili ai licei, dalle pubbliche alle private. Moltissime, come si nota già a colpo d’occhio, sono collocate proprio nei pressi delle grandi arterie di scorrimento, quelle che per livello di smog sono un reticolato di viola intenso. Se questa è l’immagine, la traduzione in numeri della rappresentazione visiva dice che oltre 110 mila bambini e studenti respirano ogni giorno aria nociva, con un livello di veleni molto al di sopra dei limiti di legge. L’altro 45 per cento delle scuole si trova in zone o quartieri che rispettano quella soglia, ma sono appena sotto: l’aria che si respira, anche lì, è dunque gravemente tossica stando alle raccomandazioni dell’Oms. Leggi l'articolo completo sul Corriere 👉
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(✏️​ Alessandro Vinci) Impegnato tra le mura amiche contro il Darmstadt secondo in classifica, sabato il Karlsruhe, club di seconda divisione tedesca, ha dovuto fare a meno di uno dei suoi centrali di difesa titolari: il classe 1993 Marcel Franke, acquistato in estate dall’Hannover e con un passato anche in Inghilterra con la maglia del Norwich. Squalifica? No. Infortunio? Non proprio. La ragione del forfait è da ricondurre a un nobile gesto solidale: quello che in settimana ha visto il calciatore donare le proprie cellule staminali per salvare la vita a un malato di cancro. A pubblicare la foto di Franke sorridente dal letto di ospedale era stata giovedì la stessa società del Baden-Württemberg, peraltro non prima di aver invitato i propri tifosi a seguire il suo esempio tramite una nota ufficiale. In particolare, il 29enne ha raccontato di essersi registrato nella lista dei donatori volontari già quando militava tra le fila del Greuther Fürth (ovvero tra il 2015 il 2017) e di essere stato informato tre mesi fa della sua possibile compatibilità con un paziente in attesa di trapianto: «Le probabilità che fossi il donatore giusto erano in realtà molto basse – ha spiegato –. Ma tre settimane dopo ho ricevuto una telefonata in cui mi è stato detto che ero perfettamente compatibile». Da qui dunque il ricovero per il prelievo e la convalescenza che gli ha impedito di essere in campo contro il Darmstadt. 👉​ Leggi l'articolo completo sul sito del @corriere (📸 Facebook: Karlsruher SC)
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(​✏️​ Stefania Ulivi) Non c’è neanche stato bisogno che pronunciasse la celebre battuta di Massimo Decimo Meridio «Al mio segnale, scatenate l’inferno». È bastato che Russell Crowe mettesse piede nell’Auditorium della Conciliazione — ospite d’onore del XX compleanno di Alice nella città, dopo i festeggiamenti del giorno prima in Campidoglio — per trascinare con sé la sua armata, in gran parte composta da studenti di cinema. Doveva essere una masterclass, scandita dalle clip dei suoi film più popolari. Diventa, invece, un «Russell Show», di cui è regista, interprete, moderatore, valletto, anche cantante a un certo punto. «Il bello di invecchiare, e io sono vecchio ormai a 58 anni, è poter insegnare quello che ho imparato. Una sola regola: non voglio domande tipo cosa ho mangiato a colazione. Voglio parlare solo di cinema, di ciò che succede davanti e dietro la macchina da presa». Lui, racconta, ci è capitato di fronte quando aveva solo 6 anni. «Mia madre si occupava del catering sui set, a volte la andavo a trovare. Un giorno stavano girando una serie e non c’erano abbastanza bambini. Lei mi ha offerto volontario». Non ha più smesso. «Mi dicono: sei stato un bambino prodigio. No, sono stato un bambino comparsa. Ho fatto tanta tv, poi ho iniziato a scrivere canzoni e a suonare. Ho recitato nei musical come Grease, fatto 420 repliche di Rocky Horror Picture Show. Ho lavorato come deejay nei night, fatto i turni da barman. Nessuna scuola di recitazione. Questo sono io, non un prodotto di Hollywood. Il primo lungometraggio è arrivato a 25 anni con duemila performance alle spalle». Dispensa consigli. «Scrivere canzoni e suonare sono la mia grande passione. Ma non ci pago le bollette. Vi diranno di concentrarvi solo su una cosa. Non li ascoltate. Se avete una passione non sprecatela: è una fortuna, consideratevi privilegiati». 👉 Leggi l'articolo completo sul sito del @corriere (​​📸 Andreas Solaro / Afp)
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(​✏️ Candida Morvillo) Sessant’anni di Rai Bruno Vespa li conta dal primo settembre 1962: «Avevo 18 anni: il primo lavoro, durato sei anni, fu trasmettere due volte al giorno alla sede di Pescara le notizie da L’Aquila, dove c’era anche una grande società dei concerti. Allora, con un vecchio Nagra a manovella, registravo anche interviste per la radio nazionale con Arthur Rubinstein, Arturo Benedetti Michelangeli, Svijatoslav Richter, il giovane e promettente Maurizio Pollini... Ho fatto l’abusivo finché, nel 1968, ci fu il concorso, lo vinsi e, nel ‘69, entrai al Tg». Aveva cominciato a 16 anni come corrispondente del Tempo dell’Aquila, come arriva il sacro fuoco del giornalismo? «Al Circolo del tennis, avevo 15 anni, un pregevole latinista mi propose di collaborare a un giornale dialettale. Non sapevo scrivere in aquilano e composi noiosissimi articoli sui concittadini che avevano dato i nomi alle strade. L’anno dopo, cominciai col Tempo. L’emozione del primo stipendio fu enorme: cinquemila lire» Quante erano cinquemila lire nel 1960? «Per me, un miliardo. Ricordo ancora il cassiere del Banco di Napoli che contava i biglietti da mille: vestito, come usava, da lord, col panciotto e i gemelli d’oro. Quell’anno, c’erano le Olimpiadi a Roma e, all’Aquila, si disputavano gare ultraminori, così iniziai a collaborare gratis con Radio Rai. Ogni mezz’ora, dovevo raggiungere un enorme telefono nero, chiamare quello che sarebbe diventato Tutto il calcio minuto per minuto e dire: Ghana 1-Costa Rica 0». ​👉 Leggi l'intervista completa sul sito del @corriere (📸 Claudio Guaitoli)
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